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Dalla pianta all’estratto: le metodiche migliori per estrarre cannabinoidi

By Aprile 4, 2022No Comments

Gli estratti derivati dalla pianta di cannabis vengono usati da millenni dall’uomo sia per scopi medici che ricreativi. Questa straordinaria pianta è una vera e propria fabbrica verde che produce centinaia di molecole attive caratterizzate da importanti proprietà mediche. Un esempio è il cannabidiolo (CBD) che, appartenente alla classe dei cannabinoidi, ha avuto conferme scientifiche sulla sua efficacia come farmaco per il trattamento di diverse malattie, da gravi forme di epilessia infantile alla depressione.

Per estrarre queste importanti molecole è necessario rompere le strutture cellulari delle piante in modo che i principi attivi siano esposti e possano interagire con un solvente. In generale, un’estrazione ha successo quando si ottiene una solubilità ottimale dei composti attivi nel solvente appropriato. Gli estratti di cannabis sono infatti ottenuti da materia prima vegetale, generalmente da scarti verdi derivati dalla lavorazione delle infiorescenze fresche.

Il metodo più tradizionale e semplice per estrarre i composti attivi dalle specie vegetali prevede la macerazione in acqua fino alla dissoluzione della maggior parte degli ingredienti. Per i cannabinoidi, invece, è necessario utilizzare metodi alternativi. Si impiegano per l’estrazione solventi organici o altri al posto dell’acqua, dato che la solubilità dei principali composti presenti nella pianta è molto bassa nei solventi polari.

Prima di entrare nel dettaglio delle tecniche di estrazione più comuni, elenchiamo le caratteristiche di un solvente “perfetto”.

Il solvente dovrebbe avere:

. specificità nell’estrazione.

. Basso residuo nel prodotto finale.

. Possibilità di modulare la sua selettività di estrazione tramite la modifica di semplici parametri (es. temperatura o pressione).

. Basso costo.

. Bassa pericolosità.

. Facilità di stoccaggio e smaltimento.

 

Estrazione con solventi organici

Il solvente più usato per questo tipo di estrazione è sicuramente l’etanolo, con il quale si ottiene anche il famoso “Rick Simpson oil”, ma è possibile usare anche cloroformio, metanolo o anche olio di oliva. Per la loro bassa tossicità per l’uomo, sono tutti solventi ritenuti sicuri dalla Conferenza internazionale per l’armonizzazione (o ICH). Il processo consiste nella macerazione delle inflorescenze o parti verdi della pianta (meglio scartare rami e foglie molto grandi che contengono i principi attivi solo in tracce) nel solvente per un tempo abbastanza lungo da ottenere il distacco delle porzioni di pianta contenenti i cannabinoidi (tricomi), ma non troppo da permettere al solvente di estrarre anche composti non desiderati come ad esempio la clorofilla. Il suo basso costo e la facilità di procedimento la rendono un’estrazione ancora molto usata, ma i suoi punti deboli sono:

. la poca selettività nell’estrazione.

. Necessità di ulteriori passaggi di purificazione.

. Estrazione poco controllabile.

. Infiammabili.

 

Estrazione con idrocarburi

L’idrocarburo usato più spesso per questo tipo di estrazione è il butano. A livello teorico il processo è simile a quello usato con i solventi organici. Non si necessita però della macerazione iniziale, ma il solvente, in fase liquida a basse temperature, solo venendo a contatto con il materiale vegetale, provoca il distacco dei tricomi e il conseguente dissolversi dei cannabinoidi nel liquido. Il solvente, che acquista così un colore giallo-oro, viene fatto evaporare a temperatura ambiente o usando temperature alte e basse pressioni in modo tale da non lasciare residui nel prodotto finale. Anche questo sistema, come per i solventi organici, è caratterizzato da un basso costo del materiale e degli strumenti necessari, ma possiede degli svantaggi quali:

. alta pericolosità: sono infatti solventi altamente infiammabili che devono essere maneggiati con le giuste precauzioni.

. Estrazione non completamente controllabile, quindi bassa selettività.

. Eventuale presenza di residui di solvente nel prodotto finale.

 

Estrazione con fluidi supercritici

Questo tipo di estrazione, che usa solventi “green”, è la più promettente per ottenere un prodotto finale con un alto livello qualitativo. Garantisce alti standard di qualità necessari nel settore farmaceutico, nutraceutico e alimentare e la sostenibilità ambientale del processo dalla pianta all’estratto. L’anidride carbonica è la scelta più comune per i suoi molti vantaggi rispetto agli altri solventi. La CO2 è infatti non-infiammabile, relativamente inerte, facilmente reperibile e a basso prezzo. A determinati valori di temperatura e pressione il fluido assume un cosiddetto stato supercritico. Il concetto di temperatura critica è definito come una temperatura al di sopra della quale una singola sostanza allo stato gassoso non può essere liquefatta per compressione. Il processo è molto sensibile, infatti, la forza del solvente può essere manipolata tramite la modulazione della temperatura e della pressione. La CO2 permette di estrarre composti sensibili al calore e all’ossidazione come gli acidi grassi polinsaturi, vitamine, cannabinoidi, flavonoidi, steroli, tocoferoli e altri composti dall’alto valore aggiunto con la sicurezza di non danneggiarli.

Riassumendo, i vantaggi sono:

. estrazione completamente controllabile.

. Altissima selettività.

. Bassissimo impatto ambientale.

. Prodotti di grado farmaceutico.

. Pochissimi residui nel prodotto finale.